Lo spazio colore di una foto è un concetto fondamentale per la fotografia digitale, in quanto descrive il modo e la qualità con cui vengono riprodotti i colori da un dispositivo.
Una delle domande che l’uomo si è posto durante i secoli è stata: come posso essere certo che ciò che io vedo e percepisco, sia esattamente ciò che vede e percepisce l’altro? Non c’è una risposta.
Ebbene si, niente di ciò che vediamo, o stampiamo, è la copia esatta della realtà. Tralasciando le implicazioni filosofiche e ontologiche, accettiamo il fatto che nessun dispositivo digitale, analogico o biologico può percepire o riprodurre l’intera gamma di colori esistenti.
Nel dominio digitale è stato semplice capire almeno l’entità del problema: è sufficiente analizzare le informazioni del colore presenti in un’immagine.
Per assicurare la compatibilità dei dispositivi, sono stati stabiliti degli standard e delle certificazioni. Possiamo dare una continuità al nostro lavoro conoscendo la destinazione della nostra foto. Se la nostra stampante, o il nostro social preferito, è certificato per un determinato spazio colore, sarà sufficiente utilizzarlo durante tutta la nostra fase di lavorazione.
Innanzitutto dobbiamo chiederci quanti colori può percepire il nostro occhio, e come tradurli in valori informatici. Dopo una seria indefinita di test ed esperimenti, la Commissione internazionale per l’illuminazione (si, esiste un istituto del genere) nel 1931 ha stabilito graficamente e matematicamente l’intera gamma di colori percepibili dall’uomo.
Qualunque punto di questo grafico, sarà una coordinata che descriverà un colore.
Come accade nel mondo dell’audio, anche nel video e nella fotografia si tende a ottimizzare e ridurre, che significa eliminare le informazioni ritenute inutili.
Per una decente riproduzione di una foto, non occorre avere tutte le informazioni percepibili, ma una piccola parte.
Sui social, ad esempio, vediamo appena il 35% dei colori di questo grafico.
Le immagini vengono infatti convertite e compresse per una questione di velocità, esperienza utente, e spazio.
In questo articolo ci occuperemo esclusivamente dei media digitali, non della carta stampata che possiede un altro tipo di funzionamento.
Gli standard principali per la fotografia digitale, e che possiamo trovare in ogni reflex o in ogni software, sono sRGB e AdobeRGB.
Se studiamo bene le caratteristiche di un monitor, ad esempio, possiamo trovare i dati che indicano la sua fedeltà cromatica rispetto a questi standard digitali.
Il dato che si riferisce allo spazio colore è il Gamut. Ci indica la percentuale, la sezione, dello spazio colore percepibile dall’uomo che è in grado di riprodurre.
Ad oggi tutti i monitor riescono a riprodurre correttamente lo standard sRGB e oltre, fino a quelli professionali che riescono a raggiungere l’AdobeRGB.
Vediamo in cosa differiscono i due standard digitali.
Nel 1998 Adobe, appunto, crea l’AdobeRGB. L’idea di base era dare una continuità tra i monitor, che utilizzano i tre colori primari RGB (red, green, blue) e le stampanti che invece utilizzano il CMYK (Cyan, Magenta, Yellow, Black). Per approfondire vi consigliamo questo articolo.
Lo spazio colore dell’Adobe è in grado di riprodurre il 50% del profilo CEI, cioè la metà dei colori visibili dall’occhio umano.
Con l’incremento della digitalizzazione, Microfost e HP negli anni ’90 creano lo spazio colore sRGB. Questo standard contiene la quantità di colori minima che ogni dispositivo era in grado di riprodurre. Benché al giorno d’oggi utilizziamo monitor più sofisticati, questa spazio colore è divenuto lo standard delle immagini digitali: è considerato ancora sufficiente per la nostra percezione, e permette un’importante compressione e ottimizzazione dei dati. L’sRGB contiene appena il 35% dei colori CEI.
Per capire nei fatti questo cosa comporta, possiamo vedere questa comparazione. Nell’sRGB c’è meno vividezza, i colori si differenziano di meno tra di loro, rispetto all’AdobeRGB. Questa differenza è percepibile solo a un occhio allenato, o in un’immagine comparativa di questo tipo. Mentre navighiamo in rete o sui social, non ci facciamo caso.
Ciò che possiamo notare subito è che i due standard differiscono soprattutto nelle tinte verdi. Il motivo è semplice: i monitor digitali tendono a dare, per loro natura, maggiore enfasi e luminosità al colore verde. Per questo motivo non è necessario conservare questa informazione nell’immagine sorgente, perché sarà resa più vivida dal monitor.
PRO
Può essere convertito a sRGB
Colori più vivaci e accurati per le stampe
CONTRO
Minore compatibilità sul web
Processo di lavoro più complesso
PRO
Compatibilità sul web e tra dispositivi
Processo di lavoro meno intenso
CONTRO
Colori ridotti e meno vivaci
Non può essere convertito in AdobeRGB
Ogni immagine deve avere il suo spazio colore. Questo indica al software o al dispositivo quale profilo utilizzare per elaborare e visualizzare correttamente i colori. Ogni profilo ha delle coordinate differenti e dei valori propri, ed è fondamentale che ogni coordinata venga associata al colore esatto.
La scelta va fatta in base alla destinazione d’uso della nostra foto, per evitare delusioni!
Facciamo un esempio: abbiamo acquistato il monitor migliore sul mercato, che riesce a riprodurre anche colori che non sapevamo esistesse. Abbiamo la migliore macchina fotografica, in grado di catturare anche gli spostamenti d’aria. Prendiamo la nostra foto, la carichiamo nel nostro editor. Scegliamo lo spazio colore migliore, l’AdobeRGB. Già qui dobbiamo accontentarci del 50% delle informazioni originali. La elaboriamo, e felici del risultato finale la carichiamo sul nostro profilo Instagram, che come standard utilizza l’sRGB. Vediamo il risultato, e decidiamo di dedicare la nostra vita a vendicarci con il signor Zuckerberg.
Conviene dunque scegliere in partenza il giusto spazio colore.
Se il nostro obiettivo è la pubblicazione sui social, allora è consigliabile impostare tutto il nostro wordflow in sRGB. In questo modo saremo certi che ciò che vediamo nel nostro editor, sarà identico, o quasi, a quello che vedremo in rete.
Se l’obiettivo è la stampa, e la nostra foto è di alta qualità, allora sarà meglio lavorare utilizzando l’AdobeRGB e godere anche dei suoi colore vibranti.
Personalmente mi capita di dover utilizzarli entrambi, per due destinazioni d’uso differenti. In questo caso, meglio lavorare in AdobeRGB, che può essere poi convertito in sRGB con qualche accortezza e piccola correzione successiva.
Prima di dedicarvi al bianco e nero, impariamo le basi della fotografia digitale. Ci sono molti elementi che influenzano una foto e la sua resa cromatica o qualitativa, ma ricordiamoci di concentrarci prima sulla foto, sulla composizione, sul nostro scopo comunicativo, e poi a tutto il resto!
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