SEO Tips: Black Hat, le tecniche SEO per vincere, e perdere, velocemente
La Black Hat SEO è il lato oscuro della SEO: composta di pratiche scorrette, che falliscono inesorabilmente (e per fortuna) grazie all’evoluzione degli algoritmi.
Black Hat SEO Hacker
Cos’è e come funziona la Black Hat SEO
Ci sono due modi per ottenere visibilità nei motori di ricerca: la prima è quella di fare ricerca, studiare i dati, creare contenuti di qualità, in modo che siano utili ed interessanti, e che diano risposte agli utenti. L’altro è quello di sfruttare alcune caratteristiche degli algoritmi per imbrogliarli.
Il secondo modo, viene definito Black Hat SEO.
Lo scopo di un algoritmo di un motore di ricerca, quello attraverso cui ad esempio Google fornisce i risultati di ricerca, è quello di comprendere il senso della richiesta, e il valore dei contenuti presenti in rete.
Conoscendo le regole e il modo di operare di questo algoritmo si può tentare di sfruttarlo con pratiche scorrette.
Facciamo un esempio: uno dei criteri dei motori di ricerca, per comprendere la pertinenza di un risultato in risposta a una richiesta, è la presenza di parole chiave. Se cerchiamo “black hat seo” su google, il suo algoritmo ci proporrà pagine in cui questa parola viene menzionata più di una volta.
Fino a 10 o 15 anni fa, la pertinenza era data esclusivamente dal numero di volte in cui era ripetuta la parola chiave in una pagina. Un sistema facilmente aggirabile: una delle pratiche era infatti quella di riempire una pagina della stessa parola, messa anche in trasparenza o nel codice html, in modo da renderlo pertinente per una richiesta.
Questa tecnica è superata grazie all’intelligenza artificiale degli algoritmi che riescono a comprendere quando c’è un tentativo di “fregatura” che comporta una penalizzazione. Tuttavia alcune pratiche sono ancora in uso, alcune scorrette, altre al limite della morale.
Perché “Black Hat”
Secondo il critico Roger Ebert, il cappello nero (black hat) era indossato nei classici film western sempre dal cattivo. Una metafora inizialmente utilizzata per gli hacker: i white hat, che utilizzavano le proprie conoscenze a fin di bene, e i black hat, che le utilizzavano per creare danni o vendette. In questo caso vi era una questione morale molto sottile (cosa è giusto o sbagliato?), per la SEO invece abbiamo un intransigente giudice: Google!
Un black hat seo è un esperto, un “cattivo” esperto, di posizionamento nei motori che utilizza tecniche di posizionamento e di ranking scorrette e penalizzanti.
I rischi del black hat SEO
Il black hat SEO è estremamente rischioso: il successo è immediato e visibile, ma temporaneo. Aggiornamenti o modifiche agli algoritmi, posso portare a pesante penalizzazione nel lungo periodo. Un rischio che può arrivare fino alla cancellazione dagli indici di ricerca.
E’ noto il caso della BMW Germania, il cui sito ufficiale fu “bannato” nel 2006 dalle ricerche di Google. Avevano scoperto che utilizzava doorway pages per migliorare il suo posizionamento.
Cosa sono le doorway pages?
Le tecniche più comuni di black hat SEO
Un elenco delle tecniche comuni e più diffuse di Black Hat SEO, ormai deprecate, sconsigliate e inefficaci.
Pagine doorway o gateway: sono delle pagine fittizie, o anche interi siti, creati con il solo scopo di “spingere” altri siti grazie alla ripetizione di link e riferimenti. Google considera il valore di una pagina anche in base alla quantità di siti che fanno riferimento, tramite link, a essa. Furbo pensare che creando un sito finto, e riempiendolo di link al proprio sito principale, si possa aumentarne il valore. Furbo lo era, ora rischia di diventare una penalizzazione. I link verso un sito attualmente sono validi per il suo punteggio SEO solo se derivano da siti altrettanto virtuosi, o anche di più, e che trattano delle stesse tematiche.
Cloaking: una tecnica più sofisticata, che consiste nel creare una versione della pagina solo per gli algoritmi. Nel momento in cui la pagina viene analizzata, al suo posto viene presentata una pagina diversa, che resta non visibile agli utenti. In questo modo era possibile creare pagine piene di parole chiavi, link, e altra spazzatura, in grado di aumentarne il punteggio senza inficiare sull’esperienza utente.
Keyword stuffing: questa tecnica, ora del tutto desueta, consiste nell’utilizzare in modo ossessivo ed eccessivo una parola chiave in una pagina.
Desert scraping: una tecnica di riciclo. Sembra virtuosa, e invece non lo è. Consiste nel prendere contenuti di siti non più indicizzati, per copiarli e inserirli nel proprio sito.
Link spam: come si evince dal nome, consiste in software o algoritmi in grado di creare un’efficace rete di scambio di link automatizzata, in modo da aumentare il punteggio dei siti.
Black Hat SEO: semplice, efficace, e senza risultati
Pensavate che vi avremmo suggerito metodi infallibili per la SEO? Assolutamente no, e non ve lo consigliamo!
Cercate un’agenzia o un esperto SEO, a cui affidate il vostro sito o il vostro e-commerce. In pochi giorni ci sono dei miracoli, il vostro sito ha visualizzazione, guadagna posizioni su Google, un risultato incredibile. Felicissimi saldate il vostro conto e pagate per il servizio. Dopo una settimana, il sito sparisce del tutto da Google!
La SEO è un lavoro costante e impegnativo, che richiede ricerche, analisi, tentativi e anche intuito. Richiede qualità ed esperienza, anche se un minimo di furbizia è accettata.
State attenti dunque, e prima di cercare fantomatici esperti, osservate con che cappello si presentano!
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