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The Grudge 2020: un remake assolutamente DIMENTICABILE

Oggi vi proporremo la recensione del remake di “The Grudge“, realizzato dal regista Nicolas Pesce. Un film che, certamente, non resterà indelebile nella mente degli amanti del genere.

Stessa trama, stesse atmosfere: risultato diverso

Basata sulla sceneggiatura originale di Takashi Shimizu (che ha realizzato il remake americano del 2004 del suo film “Ju-on”), la sceneggiatura di Pesce parla ancora di una casa giapponese maledetta da un omicidio avvenuto con rabbia estrema e dell’entità soprannaturale che si nutre di coloro che hanno visitato la casa (in questa versione, una donna americana la “trasporta” negli States prima dei titoli di testa). In questa versione, Pesce orchestra un’atmosfera densa e inquietante, dove le anime sfortunate devono gestire la propria tristezza opprimente; insieme alle entità oscure che invadono lo spazio e che spuntano dall’oscurità.

Un’atmosfera cupa certamente apprezzabile

Una caratteristica certamente apprezzabile è quanto il film sia cupo: i personaggi vengono presentati con le carte brutali che il destino ha scelto per loro. Come, ad esempio, il detective Muldoon (Andrea Louise Riseborough), recentemente trasferito nella nuova città di Cross River a causa della morte del marito, ucciso dal cancro. La protagonista viene a sapere di una casa al 44 di Reyburn Drive che ha collegamenti con altri casi di omicidio sepolti in città, come quello del 2005 che coinvolge un agente immobiliare di nome Peter (John Cho) e sua moglie Nina (Betty Gilpin).

Per buona parte della trama, il film presenta anche la storia di Reyburn (Frankie Faison) che, a causa di una follia crescente, vuole sopprimere la sua amorevole moglie da quasi 50 anni (con l’aiuto di una “presenza compassionevole” interpretata da Jacki Weaver). E vuole farlo nella casa dei Reyburn, a causa della sua pietosa disperazione di imbrigliare i tenui confini della proprietà con la vita e la morte. Faison racchiude un sacco di dolore in un breve monologo, ed è uno dei tanti momenti in cui “The Grudge” lavora su parti narrative che appaiono spesso ingrate in un film horror certamente poco ispirato.

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“The Grudge” trae vantaggio dallo spettacolo della sofferenza

“The Grudge” di Pesce trae molto vantaggio dallo spettacolo inquietante della sofferenza, esemplificata soprattutto in una scena che introduce la leggenda dell’horror Lin Shaye . Quest’ultima, inizialmente, appare soltanto come la voce lamentosa di una donna all’interno dell’oscura casa di Reyburn. Shaye, con le spalle rivolte allo spettatore, genera urla da incubo e, questo, prima che lei si riveli mostrando le sue mani. In questa scena ben calibrata, Pesce ci conduce poi a un’altra delle sue bizzarre immagini distintive sull’abbandono della vita: un cadavere meticolosamente nodoso, illuminato dall’improvvisa sfocatura di uno schermo televisivo.

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Un film dell’orrore che non fa orrore

In conclusione, sebbene “The Grudge” non riesca mai a far paura, eccelle nell’essere inquietante. Un lavoro, quello di Pesce, che certamente non replica l’ottimo debutto alla regia con “The Eyes of My Mother”. The Grudge, seppure ben girato, manca nella componente fondamentale che, invece, era parte integrante dell’opera originale: non fa paura. L’inquietudine (che certamente non manca) non può essere la colonna portante di un film horror.

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