

Recensione – “Lacci” di Daniele Luchetti
Il film che ha aperto il Festival di Venezia. Di seguito la recensione di “Lacci” di Daniele Luchetti
Daniele Luchetti è un regista interessante, esponente di un cinema autoriale e popolare. “Il portaborse” e “La scuola” sono tra le migliori pellicole italiane degli anni 90, “Mio fratello è figlio unico” e “La nostra vita” sono degli ottimi film. Dopo le prove più incerte degli ultimi anni (Io sono Tempesta, Momenti di trascurabile felicità) che avevano comunque degli spunti interessanti, ci riprova con “Lacci”.
“Lacci” è stato il film di apertura dell’autarchica Mostra del cinema di Venezia di quest’anno, tratto dall’omonimo libro di Domenico Starnone, uno dei migliori romanzi degli ultimi anni.
Di cosa parla?
In un passato lontano, Aldo ha tradito Vanda e abbandonato i suoi figli a Napoli. A Roma ha ricominciato con Livia, una collega e una ‘voce’ più gentile. In mezzo due figli, Anna e Sandro, che crescono e covano un avvenire di rancori. Vanda tenta il suicidio, Aldo non cede al ricatto ma qualche anno dopo torna a casa e riannoda i lacci sciolti. Aldo e Vanda escono intatti dalla crisi ma è solo apparenza. A guardarli da vicino le crepe e le riparazioni saltano agli occhi. La débâcle è dietro l’angolo, Anna e Sandro pure.
Una visione pessimista della famiglia
“Lacci” è composto di tre atti. Nel primo si racconta la crisi della coppia Luigi Lo Cascio-Alba Rohrwacher negli anni 80, nel secondo, ai giorni nostri, c’è la coppia ormai anziana (Silvio Orlando- Laura Morante) riconciliata ma con una tensione che cova. Il terzo atto risolutivo vede i due figli cresciuti Giovanna Mezzogiorno – Adriano Giannini.
Potrebbe sembrare la classica storia di corna e tradimenti, il solito dramma borghese ma in “Lacci” c’è qualcosa di diverso. È una specie di thriller psicologico, con un finale a sorpresa che getta una luce diversa sul senso del film. Con una visione pessimista della nostra istituzione più importante: la famiglia.
Ed è questo il più grande pregio del film. Tutti i personaggi sono negativi, si fanno volutamente del male tra di loro, figli compresi. Ma il film non li giudica. Questa tensione, questo disagio familiare sono una novità in un film mainstream italiano per nulla rassicurante.
I bambini ci guardano
“Lacci” distrugge la concezione tradizionale di famiglia. In Italia la famiglia è sacra, i lacci cioè i legami familiari devono resistere nonostante tutto e se non resistono si fa finta di niente. Spesso si torna insieme per il bene della famiglia ma si fa solo del male a sé e agli altri. I due da anziani sono insieme ma lo spettatore può capire da piccole cose che la loro vita è stata un inferno. E a pagare l’infelicità dei genitori sono i figli.
È questa la chiave del film. “Lacci” ci dice che le azioni dei genitori, le loro ire e i loro egoismi ricadono sui più piccoli, che li porteranno con sé per il resto della vita (ottima la scena in cui la madre picchia suo marito e l’amante per strada girata senza audio dal punto di vista della figlia che assiste in macchina)
Ma i figli qui non sono delle vittime, nel finale liberatorio e cattivo i figli ormai grandi si rivoltano in maniera inedita contro i loro genitori.
La regia di Daniele Luchetti
Luchetti gira un dramma teso, affilato come una lama di coltello, che si prende i suoi tempi. “Lacci” è pieno di dialoghi di densità letteraria, ma il regista rende il film quanto più cinematografico possibile, con un montaggio che va avanti e indietro nel tempo e una certa originalità nella struttura narrativa.
È un melodramma in cui si parla sottovoce, si dicono e si compiono cattiverie senza sottolinearle. Prevale il non detto ma il senso di ciò che accade è chiaro, “Per stare insieme bisogna parlare poco, l’indispensabile” dice a un certo punto Aldo/Silvio Orlando. Nel sottofinale si sfoga ed urla dopo anni in cui è stato in silenzio. Ed è la scena migliore del film.
Luchetti sceglie di stare sempre vicino ai personaggi, di muoversi solo in interni, abbandonando completamente le città di Napoli e di Roma, delle quali non si vede nulla. Ed è uno sbaglio, perché Napoli non è uno sfondo qualunque.
La recitazione di alto livello
Il cast è tutto in parte ed è l’aspetto migliore del film. Se Morante è credibile nelle vesti di Rohrwacher anziana, ripetendone gesti e voce, l’accostamento tra Lo Cascio e Orlando è impossibile. Orlando, con la sua voce strozzata, è troppo caratterizzato. La scelta di casting può essere criticabile ma meglio quattro attori capaci che attori somiglianti tra loro che non sanno recitare (anche se sarebbe stato interessante dare più spazio alla coppia anziana). Ottimi anche i figli con una Mezzogiorno irriconoscibile. Il livello recitativo è alto e si candidano tutti ai premi di stagione.
Il cinema medio
“Lacci” rappresenta il cinema medio italiano, con una cattiveria e una lucidità per nulla scontate. Un cinema che parla al grande pubblico ma senza scadere nella banalità, quel genere di film che ha salvato il cinema italiano a fine anni 90/inizio 2000. Per la critica si tratta di un cinema ormai vecchio, senza capire che il pubblico italiano ama questo, il melodramma familiare con le famiglie sfasciate che urlano (ma si sa che i critici se non vedono i poveracci nelle periferie romane, in film che non vede nessuno, non si esaltano). “Lacci” incarna un cinema popolare nel senso più alto del termine, un cinema che pochi ormai fanno, tra le commedie disimpegnate e un’autorialità sempre più autoreferenziale. Però quando lo si fa il pubblico risponde benissimo. (Basti vedere i successi dei due alfieri di questo genere: Özpetek e Muccino).
“Lacci” è un film di impeccabile produzione e confezione che in questo momento può riportare la gente in sala. E infatti ci sta riuscendo benissimo.
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