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“Les Misérables”: Tom Hooper dà vita a un’opera stratificata, emotiva e coinvolgente

Nel primo lungo atto di “Les Misérables”, Anne Hathaway apre la bocca rivelando l’agonia, la passione e la violenza rimaste dignitosamente sullo sfondo di questa opera pop che canta e soffre. Potremmo iniziare così la nostra recensione de “I Miserabili”; film del 2012 diretto da Tom Hooper e basato sull’omonimo musical tratto dal celebre romanzo di Victor Hugo.

Un’opera stratificata che può essere una distrazione ma anche un’emozione cruda e tremante. Un’attenzione, quella dello spettatore, che divora la canzone, la scena, il film e trasforma, infine, la sua immortale storia in una visione del vuoto.

Un’opera immortale che trova nuova linfa nel fil di Tom Hooper

Il regista Tom Hooper può essere un ficcanaso esasperante dietro la macchina da presa, ma Les Misérables è un capolavoro in cui (finalmente) non cerca di mettere in secondo piano i suoi artisti. Scritto da Alain Boublil e dal compositore Claude-Michel Schönberg (con testi in lingua inglese di Herbert Kretzmer), il musical “Les Misérables” è ovviamente uno spettacolo enorme, forse il più grande e sicuramente uno dei più longevi. Da quando la versione in lingua inglese è stata eseguita per la prima volta a Londra nel 1985, è stata tradotta in 21 lingue, eseguita in 43 paesi, ha vinto quasi 100 premi (Tony, Grammy) ed è stata vista da più di 60 milioni di persone. Nel 1996 persone in lutto di Hong Kong hanno cantato “Do You Hear the People Sing” per commemorare Piazza Tienanmen.

Da qualche parte, tra il sudiciume, le ballate potenti e gli archi in movimento, c’è anche Victor Hugo, il cui monumentale romanzo umanistico del 1862, “Les Misérables”, fu, insieme al musical “Oliver!”, l’ispirazione originale di Boublil. Esattamente come nello spettacolo teatrale, il film del signor Hooper si apre nel 1815 e si chiude poco dopo l’annullata ribellione di giugno del 1832, riducendo la storia a un paio di relazioni intrecciate.

Le storie che s’intrecciano ne “Les Misérables”

La prima è imperniata sull’antagonismo di un ex guardia carceraria, ora ispettore, Javert (Russell Crowe) nei confronti di un ex detenuto, Jean Valjean (Hugh Jackman); la seconda riguarda l’amore a prima vista tra Cosette (Amanda Seyfried) e Marius (Eddie Redmayne), un fiero rivoluzionario.

“Les Misérables” racconta una storia familiare e rassicurante di oppressione, liberazione e redenzione, completa di costumi d’epoca e canzoni strappalacrime. Apparentemente, Georges Sand pensava che ci fosse troppa cristianità nel romanzo di Hugo. A quanto pare, invece, il signor Hooper riteneva non ce ne fosse abbastanza nel musical e, usando la sua macchina fotografica come un pennarello magico, sottolinea ripetutamente i temi religiosi che sono già narrativamente e liricamente lampante.

L’approccio massimalista del signor Hooper in quest’opera (dai movimenti in stile montagne russe delle telecamere, al forte rumore accidentale che attutisce i testi), mina i suoi attori e inizia a spingere il musical dallo spettacolo verso il goffo.  Jackman, certamente, è quello che ne ricava di più dall’approccio del regista. Basta pensare alla scena di Valjean che cammina su e giù per un corridoio mentre ripete assiduamente “Cosa ho fatto”. Un avanti e indietro senza spirito, inutile, che sembra apporre un faro sulla lotta interna del personaggio.

Un’opera sublime in cui, Tom Hooper, poteva avere qualche maggiore accortezza

Le canzoni in perfetta sincronia con il labiale dei cantanti, come era consuetudine nei musical cinematografici sin dagli anni ’30, apporta numerosi benefici.

Come ha ampiamente dimostrato ne “Il discorso del re” e nella serie televisiva “John Adams”, Hooper può essere molto bravo anche con gli attori. Ma la sua incapacità di dirigere una scena senza inclinarsi, o lanciare la telecamera, è devastante e mortale. Nel gran finale, quando tout le monde sventola il tricolore francese per la vittoria, potresti invece alzare bandiera bianca in segno di esasperata sconfitta.

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Vinicio Marchetti

Giornalista e Scrittore

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