

Recensione – “La dea fortuna” di Ferzan Ozpetek
Una rassegna dei film più importanti della stagione. Di seguito la recensione di “La dea fortuna” di Ferzan Ozpetek
Ferzan Özpetek è uno degli autori italiani più facilmente riconoscibili dal grande pubblico, uno dei pochi in grado di portare spettatori nelle sale. Il mondo di Özpetek è nell’immaginario collettivo, un posto a parte in cui già sai cosa trovi: libertà sessuale, grandi tavolate, musica cult, amici e vicini di casa che mangiano insieme su una terrazza romana (non si sa in che mondo viva Ferzan ma nei condomini italiani in genere si odiano tutti). Negli ultimi film il regista si era un po’ allontanato dalle sue atmosfere caratteristiche (Rosso Instanbul, Napoli velata) e il gradimento è stato incerto. Con il suo ultimo lavoro, La dea fortuna, invece, Özpetek ritorna prepotentemente ai suoi temi tipici e il pubblico lo ha premiato con ben 8 milioni di euro, uno dei suoi migliori incassi di sempre.
Di cosa parla ?
Edoardo Leo e Stefano Accorsi sono una coppia in crisi. Leo è un idraulico un po’ rozzo ma di buon cuore, quello che porta a casa lo stipendio. Accorsi è un aspirante scrittore frustrato che non riesce ad emergere. I due non dialogano più, non hanno più la passione di un tempo. Fino a quando una loro amica, Jasmine Trinca, gravemente malata, lascia loro i suoi figli durante il periodo necessario per la degenza in ospedale. La relazione tra Alessandro e Arturo mentre sta per finire è costretta a continuare e ad occuparsi d’altro. Dovranno per la prima volta diventare una famiglia.
La coppia in crisi
È ottima l’idea di raccontare una coppia gay alla fine di un amore e non nell’euforia o nella scoperta come nella maggior parte dei film. È un ritratto di coppia senza sconti, con le menzogne, i non detti e i tradimenti di qualsiasi coppia. Il rapporto tra i due è descritto bene, così come la loro distanza culturale ed economica. Una coppia che pensava di costruire qualcosa e si ritrova alle prese con un fallimento (bellissimo il monologo di Accorsi in traghetto ai bambini). Se al loro posto ci fossero stati un uomo e una donna non sarebbe cambiato niente. Chiunque può riconoscersi e forse a questo è dovuto il grande apprezzamento del pubblico.

Una nuova famiglia
Far entrare dei bambini all’interno del loro nucleo è un motivo per mettere i due dinanzi a delle responsabilità e farli diventare forzatamente una famiglia. Accorsi è più refrattario e distante, invece Leo si dimostra di gran cuore con i piccoli. I due inizieranno a guardarsi in modo diverso grazie alla presenza dei bambini. La miglior scena del film è il momento della lite in parallelo degli adulti e dei fratellini, in cui la coppia capisce che da lì in poi le loro azioni ricadranno sui più piccoli. Il concept è un pretesto per raccontare le nuove famiglie omogenitoriali, la responsabilità degli adulti verso i bambini, la messa in discussione del concetto di famiglia tradizionale. Il finale con la nascita di una nuova famiglia non può non commuovere.
Lo stile di Ferzan
Quando si resta sulla coppia e sul loro rapporto il film è ottimo, ma quando si allarga al resto dei personaggi la narrazione diventa più debole. L’ultima mezz’ora si trasforma in un thriller con l’arrivo di una donna malvagia interpretata da Barbara Alberti e diventa un tutto un po’ ridicolo. Poi la coralità tipica dei suoi film qui c’entra poco. Il gruppo di amici, tra cui Serra Yılmaz, una trans e un malato di Alzheimer, non hanno alcun senso nell’economia della storia. Però la regia di Ferzan è migliore delle sue sceneggiature ed è come sempre capace di inventare buoni momenti (il piano sequenza iniziale, la lite sul traghetto, il ballo liberatorio sotto la pioggia). E si conferma un ottimo direttore di attori. Seppur Leo sia il gay meno credibile della storia del cinema, troppo maschio alfa, funziona molto bene; Accorsi è credibile ed elegante; Jasmine Trinca non ha un gran ruolo ma riesce ad emergere con forza. Il personaggio non è caratterizzato bene, vorremmo saperne di più.
Un classico ozpetekiano
Il film ha degli aspetti positivi ed altri un po’ più deboli, a volte si perde ma poi si riprende con momenti emozionanti. Özpetek riesce a parlarci lontano dalle ideologie coinvolgendoci a prescindere dalle implicazioni politiche e sociali. Con molti difetti e prendendo atto che il Ferzan dei tempi d’oro, quello di Mine Vaganti e delle Fate Ignoranti è ormai lontano, La dea Fortuna nel complesso è un buon film. Si avverte una certa sincerità nell’affrontare il tema ed è sicuramente il suo miglior film degli ultimi anni. Potrebbe diventare uno dei suoi classici.
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