Recensione – “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino
Una rassegna dei film più importanti della stagione. Iniziamo con la recensione di C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino
Non sono mai stato un tarantiniano convinto. Non faccio parte di quella setta di adepti che lo considerano il miglior regista vivente. Ne riconosco certamente i meriti e il ruolo fondamentale che ha avuto nella cinematografia degli ultimi anni. Ha dato dignità ai b movies, al cinema di genere, ha fatto tornare un bel po’ di violenza nel cinema mainstream. Ha creato un suo stile ed ormai “tarantiniano” è diventato un aggettivo. Il problema non è lui ma forse il suo culto, da studenti del Dams di fine anni 90. Molti aspiranti registi provano ad imitarlo con scarsi risultati e in tanti film si rintracciano discendenze tarantiniane prive però della brillantezza dell’originale. C’era molta attesa per questo “C’era una volta a Hollywood”.
Quentin Tarantino e il suo culto
Nonostante il sempre crescente successo al botteghino però è indubbio che negli ultimi anni il regista si sia un po’ appannato. È un po’ troppo compiaciuto, sembra che faccia film solo per sé stesso e per soddisfare la sua cinefilia, sapendo che qualsiasi cosa farà la gente accorrerà in massa. Tarantino sa di essere un brillante dialoghista prima che un regista creativo e di conseguenza i suoi ultimi film da “Bastardi senza gloria” in poi sono cambiati. I suoi dialoghi taglienti, i suoi originali botta e risposta hanno preso sempre più spazio in film in cui le scene d’azione violente e vorticose sono sempre più brevi, spesso relegate agli ultimi minuti. Di conseguenza le sue pellicole sono diventate sempre più lunghe e ipertrofiche. “C’era una volta a Hollywood” non fa eccezione, anzi aumenta a dismisura i suoi difetti ma inaspettatamente convince. Infatti, è piaciuto poco ai suoi fan.
C’era una volta a Hollywood e l’eccidio di Cielo Drive
Il film è ambientato nella Los Angeles del 1969. Rick Dalton (Di Caprio) è un attore depresso, star di una popolare serie tv western. Non è più nel pieno della carriera, ed è così costretto a girare degli spaghetti western in Italia. Cliff Booth (Brad Pitt) è il suo stuntman dal carattere incline alla rissa, un uomo senza il quale Rick non potrebbe non solo lavorare ma nemmeno vivere. I due si ritrovano ad essere vicini di casa di Roman Polański che convive con l’attrice Sharon Tate (Margot Robbie), appena qualche mese prima del massacro di Cielo Drive.
Quella di Sharon Tate è una storia che pochi in Italia ricordano. Forse anche per questo il film può essere poco comprensibile. La strage di Cielo Drive fu l’omicidio di cinque persone condotto dai seguaci della setta di Charles Manson che entrarono nella casa di Tate e Polański e uccisero la Tate, incinta di otto mesi e mezzo, e quattro amici. Un eccidio efferato che ebbe una certa risonanza.
Tarantino usa il caso di cronaca come simbolo della perdita dell’innocenza dell’Hollywood dei tempi d’oro. Il cinema come macchina dei sogni non sarà più quello di prima. Usare un caso di cronaca per parlare del rapporto tra un cinema di genere che sta scomparendo e un nuovo cinema d’autore che si sta facendo largo sembra un’idea notevole, decisamente migliore di quelle che hanno ispirato gli ultimi film di Tarantino.
Brad Pitt e Leonardo Di Caprio
Pitt e Di Caprio sono due vere star ed è un piacere vederli recitare insieme. La loro amicizia è quasi commovente e hanno modo di brillare con i loro personaggi. Di Caprio nella scena con la bambina e Pitt con lo scontro con Bruce Lee. Margot Robbie è splendente nella sua Sharon Tate ed ha la scena migliore del film, lei con i piedi sulla sedia del cinema che guarda sé stessa sullo schermo e ripete le battute del film.
Cinema di serie A e di serie B
I difetti dei suoi ultimi film si vedono tutti anche peggiorati. Le scene sono lunghe, i dialoghi meno scoppiettanti del solito e l’azione è relegata all’ultimo quarto d’ora. Il film dura tre ore ed a volte è prolisso e anche noioso. Ma “C’era una volta a Hollywood” si prende i suoi tempi perché vuole far respirare allo spettatore l’aria del cinema del tempo. Se si entra nel suo mondo il film risulta commovente. Mai Tarantino è stato così diretto nel suo amore per il cinema e nel suo culto cinefilo. Si percepisce quanto il regista si sia divertito nelle ricostruzioni dei finti film di Dalton e forse la cosa è divertente solo per lui. Ma è un film sincero.
Il regista ripropone lo stesso procedimento alla base di “Bastardi senza gloria”. Il cinema può cambiare il corso della storia. Ma qui il messaggio arriva molto più diretto perché sarà concretamente il cinema con i suoi attori e i suoi protagonisti (incarnato da Dalton e dall’assistente Cliff) a cambiare la storia. Dalton vive con Cliff vicino a Polański ma non può accedere alle feste in casa sua. Ma i due rappresentanti del cinema di serie b, della vecchia Hollywood, nel suo momento peggiore, salveranno il cinema d’autore di serie a e da lì si apriranno per loro le porte della villa in cui non potevano accedere fino a poco prima.
Un puro atto d’amore verso chi ha fatto veramente il cinema, la manovalanza bassa, che finalmente ha diritto di entrare nel mondo del cinema alto dalla porta principale. Questa è la potenza del cinema.
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