Doc – Nelle tue mani è la serie di più grande successo della tv italiana degli ultimi anni. La scorsa primavera, durante il primo lockdown, con le prime quattro puntate ha realizzato una media di 8 milioni di spettatori. Dopo la sospensione delle riprese a causa del covid, ritorna quest’autunno e ogni puntata incolla allo schermo 7 milioni e mezzo di spettatori con il 30% di share. Siamo ai livelli dei due grandi classici della fiction di Rai 1: Don Matteo e Il commissario Montalbano.
Un vero successo popolare che ribadisce ancora una volta l’influenza e la forza della tv generalista oltre le serie fighe di Sky e gli algoritmi di Netflix. Ma perché questa serie è diventata un fenomeno popolare? Perché Doc è la serie più vista degli ultimi anni ?
La serie racconta di Andrea Fanti (Luca Argentero) un medico primario cinico e scontroso, che viene sparato da un uomo in cerca di vendetta per la morte del figlio, al quale ritiene che non sia stata somministrata una cura adeguata. Da quel momento in poi la sua vita cambierà per sempre. Al suo risveglio Fanti ha perso la memoria e non ricorda i suoi ultimi dodici anni di vita, nessun aspetto della sua vita lavorativa e sentimentale.
Non ricorda di essere separato da tempo da sua moglie, direttrice dell’ospedale, né di avere una relazione con la collega Giulia. Soprattutto non ricorda della morte tragica di suo figlio. Andrea deve necessariamente cominciare una nuova vita e diventare un’altra persona, ritrovando la passione e il senso del suo mestiere. Resta in ospedale come aiutante degli altri medici, che lo chiameranno Doc, scoprendosi un medico empatico e geniale nelle diagnosi. L’obiettivo è quello di riconquistare sua moglie che ha una nuova vita con un’altra persona.
Gli elementi per appassionare ci sono tutti, anche troppi. Doc funziona perché è narrativamente pieno, al suo interno ci possono essere storie per almeno tre diverse serie tv. L’idea alla base è un high concept. Un uomo si risveglia perdendo gli ultimi 12 anni della sua vita e dovrà ricostruire la propria vita con le relative implicazioni sentimentali e lavorative. È una storia talmente forte che potrebbe da sola reggere un film. Poi c’è la linea orizzontale thriller. Il collega e attuale primario, il vero colpevole della morte del figlio dell’uomo che spara a Fanti, cerca in tutti i modi di nascondere le prove della sua colpevolezza e di incastrare Fanti.
Per di più, c’è il contesto ospedaliero alla Grey’s anatomy. Intorno a Doc si muovono i vari medici e specializzandi, ognuno con una propria storyline e un conflitto da risolvere. Ovviamente sono tutti giovani e bellissimi e questo dà vita a degli inevitabili risvolti sentimentali. Ma come se non bastasse c’è anche il caso di episodio. Un caso medico difficile da risolvere che aggancia il pubblico dalla prima scena e che ovviamente Doc sarà in grado di dipanare. Insomma, c’è di tutto, un mix tra Dr. House, Grey’s Anatomy e Don Matteo.
Doc insomma non annoia e si lascia seguire. All’interno di una sterminata offerta di serialità una serie deve essere capace di agganciare il pubblico, al di là della sua effettiva qualità. Non è un caso che il vero fenomeno degli ultimi anni sia La casa di carta, praticamente una soap opera con le pistole, ma che ha un congegno narrativo ad orologeria che, una volta avviato, tiene lo spettatore col fiato sospeso nell’attesa di sapere come andrà a finire. Molte serie, anche di prestigio, ultimamente dimenticano che nella serialità dovrebbero susseguirsi degli eventi, si dovrebbe riempire la materia narrativa per rilanciare una narrazione che duri più puntate. Un esempio sono le nuove serie di Sky We are who we are e Romulus, tecnicamente perfette, amatissime dalla critica ma noiosissime e gli ascolti lo dimostrano. Doc ha molti difetti ma succedono più cose in mezz’ora di Doc che in quattro puntate di We are who we are.
Doc è perfettamente a cavallo tra la tradizione e l’innovazione, tra Don Matteo e La Casa di carta. La casa di produzione della, la Lux vide, specializzata in biografie di santi, preti e papi, conosce benissimo il pubblico di Rai 1. Ma sa anche che ormai le serie tv sono cambiate. Doc è girato con una regia moderna, tenta anche una narrazione non lineare con vari flashback. Non è un caso che Sony ne abbia acquistato i diritti internazionali e che sia stata già distribuita in Europa. È innovativa nella forma ma è rassicurante come qualsiasi prodotto di Rai 1.
Il medical drama italiano negli ultimi 20 anni non ha mai avuto successo. Molti esperimenti sono stati fallimentari perché il pubblico non voleva avere a che fare con gli ospedali e i dottori. Ora invece paradossalmente che siamo invasi ogni giorno dalle notizie sul covid, questa serie raccoglie 8 milioni. È come se, ora che la morte è diventata un racconto collettivo, la nostra vicinanza alla malattia rendesse più sopportabile ciò che si vede in Doc. Prima lo si ignorava, si provava a non pensarci, lo si reprimeva.
Doc ha una funzione consolatoria perché mostra la faccia rassicurante della sanità. Lo spettatore sa già che se un paziente entra in quell’ospedale ed è curato da Fanti la cosa si risolverà. La serie ha un potere taumaturgico in un periodo di crollo delle certezze. Quell’ospedale è un mondo in cui funziona tutto, in cui tutti i pazienti sono curati al meglio e quindi anche lo spettatore avrà la sensazione di poter essere salvato. L’empatia del medico ha poi la faccia rassicurante del bel Luca Argentero, il dottore che tutti vorrebbero incontrare.
Doc è ovviamente piena di difetti, retaggio delle vecchie fiction di Rai 1. La storia poteva essere sviluppata in maniera più coerente e adeguata, a volte la trama è confusionaria e c’è troppa carne al fuoco. La musica è invadente e di dubbio gusto, si mette in scena una Milano un po’ stereotipata e alcuni casi di puntata sono troppo paradossali. A volte assomiglia alla Medical Dimension parodiata da Boris. Se avesse più coraggio, se fosse più perturbante, se andasse fino in fondo, se ci mostrasse veramente la morte, potrebbe essere la serie migliore della Rai degli ultimi anni. Ma così non arriverebbe a 8 milioni di spettatori.
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